Il nostro ex alunno Filippo Dondè, che terminò il suo percorso liceale classico nel 2010, ha voluto ripercorrere il filo della memoria nel decennale dalla maturità della sua classe.
Ciao ragazzi! Non ci conosciamo, ma anche io sono passato di qua un po’ di tempo fa: in particolare, ricorre in questo periodo il decimo anniversario dal mio esame di maturità e, di conseguenza, il quindicesimo dall’inizio del mio liceo.
Mi gira già la testa! Praticamente è come se, nel frattempo, avessi già rifatto altre due volte il percorso che voi state trascorrendo adesso.
Il bello è che sapevo che questo momento sarebbe arrivato, quello cioè della fatidica “doppia cifra” che separa il passato dal presente: 10 anni.
Inutile dire che sono passati in un attimo, ma voi ormai sarete abituati a sentirvelo dire da chiunque sia più in là con l’età. È una prassi abbastanza comune, infatti, voler sadicamente rimarcare l’importanza del tempo che passa e non torna più da parte dei più vecchi nei confronti dei più giovani. Non so, credo sia una sorta di “pensare a voce alta” sperando che qualcuno ci ascolti, indipendentemente dal fatto che sia una persona che il suo tempo lo sta sprecando o che lo stia mettendo a frutto.
Ad ogni modo, non sarò certamente io a scrivere l’ennesima riflessione su questo tema ampiamente trattato da autori ben più illustri di me che probabilmente starete già studiando tra i banchi di scuola, quindi passerò oltre glissando con un semplicissimo: “Godetevela”.
Questa introduzione, in realtà, mi serviva piuttosto per arrivare a un tema più interessante che ben presto, appena usciti da qua, anche voi comincerete ad affrontare facendo i conti con i vostri ricordi: cosa mi è rimasto? A voi che siete seduti sulle stesse sedie dove stavo anche io e sotto lo stesso tetto, cosa rimarrà?
Dal giorno dopo la maturità, ognuno prende la propria strada ed è molto probabile che non incontrerete più alcuni compagni che avete visto nei precedenti cinque anni della vostra vita se non incidentalmente. Ciò non toglie, anche se non resterete amici, che avete inevitabilmente condiviso tanto, tantissimo. Pensateci bene: potreste non avere mai più un collega di lavoro con cui condividere un percorso di crescita così lungo, gomito a gomito, di fronte agli stessi formatori, studiando le stesse cose e, perchè no, copiando le stesse cose.
Scoprirete ben presto che le giornate che ora considerate tutte uguali poi verranno rimpiante, questo ve lo posso garantire; e non perché a scuola ci si può “appisolare” e nella vita reale no, tutt’altro, bensì perché rimarrete legati ad ognuna delle facce che adesso siete abituati a vedere quotidianamente senza nemmeno farci caso, e presto avrete voglia di sapere cosa fa e come sta perfino l’ultimo dei compagni a cui rivolgereste la parola, e vedrete che, malgrado Instagram e Facebook, non ci sarà più lo stesso modo genuino di andare a chiederglielo come quando potevate farlo di persona.
Di conseguenza non posso negare che ciò che più mi porto dentro del Bertoni è la malinconia, non per colpa dell’istituto ma per quanto detto finora: vorrei tanto non risultare noioso ai vostri occhi, ma la verità è questa.
Fortunatamente la scuola, nel frattempo, si è ringiovanita: chi la gestisce ora è sicuramente qualcuno che ha a cuore queste sensazioni e – incredibile ma vero, ragazzi – le condivide pure! Quindi credo di poter affermare senza timore di smentita che chi ora vi impartisce i compiti, le conoscenze e le dure lezioni disciplinari sia qualcuno che, oltre a dover fare il proprio lavoro di educatore, non vede l’ora che voi abbiate in futuro un bel ricordo di questa scuola. Sulla veridicità di questo concetto io metterei la mano sul fuoco.
Non nego che io porto dentro ricordi di tante insicurezze e paure causate da compiti non fatti oltre che dalla rigidità di certi docenti, il che è normale perché siamo qua per essere esaminati praticamente ogni giorno, ma è pur sempre vero che chi vi valuta a fine giornata ritorna ad essere una persona come tutti quanti noi.
Ecco cosa ricordo io dei miei vecchi professori: persone che, una volta re-incontrate al termine dei miei studi, magicamente erano dolci, solari e gentili, e io sciocco a chiedermi dove fosse il trucco!
Non c’è trucco non c’è inganno, perché il Bertoni è una scuola dove la gente non è più cattiva né più buona che nelle altre, e badate che questo non è uno slogan pubblicitario che qualcuno mi ha chiesto di scrivere: sto semplicemente dicendo, senza esaltare niente e nessuno, che io a distanza di 10 anni ci tornerei, e morirei dalla voglia di riorganizzare una giornata di 5 ore di lezione come ai vecchi tempi con i compagni di un tempo…certo, è vero anche che la farei senza compiti per casa da dover consegnare, ma questo è un beneficio che mi concedo come licenza poetica.
Di recente col prof. Ragogna abbiamo rievocato i lieti ricordi di una gita in bicicletta che io e la mia classe facemmo in Austria dopo 2 settimane dall’inizio della prima liceale: ricordo che, sul momento, molti di noi dovevano essere pregati di smetterla di fare le piaghe e di pedalare, mentre scommetto che ora la maggioranza di noi starebbe in sella dieci ore pur di tornare a ritroso nel tempo e rivivere quella singola giornata. Non sprecate nessun momento di convivialità e di assembramento (che simpatica che è diventata questa parola, ultimamente!) che la scuola vi offre, credetemi. Né sottovalutate la potenza di una foto o di un video col compagno di banco o in gruppo.
Già quand’ero qua io c’erano corsi, tra gli altri, di teatro, di fotografia, perfino di astronomia: vi giuro che qualcuno partì di notte per andare a vedere le stelle con un cannocchiale dalla cima di non so quale montagna. Io ovviamente no, preferii dormire, e ora me ne mangio un po’ le mani!
Ricordo che vennero organizzate per noi delle giornate sulla neve, quando – lasciatemelo dire – lo sport era considerato tutt’altro tranne che una priorità qua dentro; andavamo allo Zoncolan in dieci su una corriera tutta per noi e ce la spassavamo alla grande, chi sugli sci chi sullo snowboard chi in baita col bombardino. Inutile tenerlo nascosto, tanto lo sanno tutti.
Ricordo il palio teatrale studentesco, una tradizione bellissima: il Bertoni partecipava sempre e faceva pure la sua bella figura, portando sul palco contenuti concordati tra gli studenti e i vari coordinatori (io, a memoria, ricordo la professoressa Vida che era una grande appassionata) in maniera totalmente serena, passando dai copioni più impegnati a quelli di grande comicità che contavano su talenti davvero inaspettati passati per di qua.
C’è stata l’alternanza scuola-lavoro, ci sono stati i certamina sia in greco che in latino per noi studenti del ginnasio…a tal proposito è stata indimenticabile la trasferta a Bassano del Grappa nell’aprile 2010 quando io e le mie compagne Cristina e Carolina (i cognomi si possono dire???) siamo stati accompagnati da un orgogliosissimo prof. Ragogna a questo vero e proprio contest dove c’era gente agguerritissima armata di vocabolario che neanche a X-Factor o ad Amici. Credetemi, un giorno davvero speciale in cui eravamo col petto gonfio a rappresentare la nostra scuola e la nostra città in territorio straniero.
Insomma, ci sono state tante iniziative nonostante la scuola non fosse aperta al mondo esterno quanto lo è ora.
E poi c’è stato il momento più doloroso, quello che prima non vedi l’ora che arrivi e poi lo rimpiangi più di tutti: la cena di maturità. Inutile dirlo, eravamo tutti belli, eleganti e ci sentivamo una spanna sopra il mondo quella sera, dove abbiamo gustato delle prelibatezze da urlo a Tarcento prima di accodarci a tutte le scuole del Friuli a Lignano come da tradizione, con i professori che per la prima volta rompevano gli indugi e si univano a noi nei festeggiamenti che solo quella notte può regalare. Poco importa che sia molto mainstream: anche noi c’eravamo, ed è quello che conta.
Sull’esame in sé, invece, non mi esprimerò, anche perché non siamo qua per questo, e soprattutto ci sono già svariate pellicole che trattano l’argomento: l’emozione sarà grandissima e sì è vero, sembrerà di volare, ma questa è un’altra storia.
Mi sono lasciato un po’ trascinare dal flusso di ricordi. Chiedo scusa, ma ne sono felice: in realtà, è la prima volta che mi capita di farlo mettendo tutto per iscritto da quel lontano 2010, e sono grato a chi mi ha concesso questo spazio per farlo, altrimenti, con la pigrizia che ci attanaglia, chissà mai quando sarebbe ricapitata un’occasione così.
Ragazzi, non prendete queste righe come una questione autoreferenziale o, come detto prima, una bella pubblicità per la scuola: chi vi parla lo fa col cuore e vi augura che, prima di uscire a riveder le stelle, collezioniate sufficienti ricordi da poter essere ricontattati tra dieci anni per raccontarli.
E in barba al coronavirus, buona estate a tutti! La parola ora passa a voi.
Con tanto affetto e con tanta stima per i vostri sforzi,
Filippo Dondè