Licei Bertoni, 23 gennaio 2020
Relatori: prof. Francesco Pira, Università degli Studi di Messina e prof.ssa Nicoletta Vasta, Università degli Studi di Udine
Il compito di fornire agli studenti, ancor più in quanto nativi digitali, degli strumenti critici per orientarsi con consapevolezza nel mondo della comunicazione odierna è un obiettivo prioritario della scuola: la stessa costruzione del sapere, infatti, e quindi l’approccio cognitivo alle discipline curricolari dipendono strettamente dal nuovo contesto sociale e tecnologico di diffusione delle informazioni. Lo stare nel mondo sapendo dare ad esso un significato, appropriandoci con la ragione di ciò che accade e ci circonda è di conseguenza l’elemento cardine della moderna cittadinanza digitale (e-democracy): la formazione scolastica contribuisce in modo significativo alla costruzione di un pensiero critico che ci liberi dai condizionamenti del pensiero collettivo, basato per lo più su stereotipi mass-mediatici che parlano “alla pancia” della gente.
Questo è stato il nucleo concettuale attorno al quale si è sviluppato il convegno, tenutosi con i nostri liceali il 23 gennaio, dal titolo “Le parole contano: costruire il pensiero critico tra informazione e disinformazione”, coi professori Nicoletta Vasta (Università degli Studi di Udine) Francesco Pira (Università degli Studi di Messina) come relatori.
Il primo intervento ha insistito sul tema di come la nostra percezione di un fatto, descritto dai mezzi di informazione, sia fortemente condizionata dalla modalità (linguaggio, immagini, enfasi emotiva…) con cui un evento viene comunicato e raccontato: la narrazione di un avvenimento ne modifica in modo sostanziale la conoscenza e soprattutto l’impatto che esso può avere sui lettori-ascoltatori e ancor più spesso sui navigatori della rete, maggiormente esposti a un accesso informativo molto rapido e diretto e perciò stesso a volte superficiale. La prof.ssa Vasta ha presentato, tra i tanti esempi a sostegno della sua tesi, alcuni casi di cronaca italiana recente con al centro la tematica dell’immigrazione; è così emerso come alcune testate giornalistiche esasperino degli elementi lessicali riferiti al fenomeno migratorio nel nostro Paese (“invasione” è uno dei termini più significativi a tal proposito, attingendo alla sfera semantica bellica) per amplificare un sentimento di timore e angoscia che spesso viene invece smentito dai numeri ufficiali riguardanti gli stranieri presenti e/o in arrivo in Italia.
L’informazione, pertanto, lungi dall’essere “neutrale” e “oggettiva”, ricorre sempre a delle strutture concettuali e schemi interpretativi (frames) che alterano o persino orientano in senso ideologico la nostra percezione del mondo e della realtà. La consapevolezza di ciò è un elemento imprescindibile nella formazione civica e critica del cittadino del nostro tempo: l’era in cui viviamo, infatti, definita della “post-verità”, ci mette nella necessità non tanto di distinguere in maniera sempre nitida e precisa il confine tra verità e falsità (categorie ontologiche non sempre dimostrabili), bensì di comprendere con chiarezza le intenzioni comunicative della fonte informativa utilizzata, analizzandone con cura il significato verbale e iconografico, il contesto, l’appartenenza culturale e sociale. La lingua stessa, ad esempio, non è uno strumento super partes, poiché riflette fin dalle sue origini la Weltanschauung (visione del mondo) della comunità dei parlanti, oltre a poter essere utilizzata a scopi ideologici e propagandistici: il linguaggio è quindi legato indissolubilmente alla cultura e al pensiero di chi ne faccia uso. Come orientarsi dunque nel mondo ampio e complesso della “infosfera”, per non restare intrappolati dentro narrazioni distorte della realtà? Il punto di partenza, ha ribadito la prof.ssa Vasta, è proprio la consapevolezza di come la comunicazione di qualsiasi messaggio passi sempre attraverso il filtro interpretativo di chi lo diffonde: questo deve perciò indurci a sviluppare competenze di pensiero critico, apertura mentale, capacità di confronto e di lettura approfondita della realtà e di come essa ci venga comunicata.
Nel secondo intervento, il prof. Pira è partito da un’analisi dei principali social network oggi utilizzati, con una particolare attenzione riservata al più recente Tik-Tok, emblematico per la pochissima garanzia che esso dà in termini di privacy e di controllo sul contenuto dei video che diffonde. L’accesso continuo (che non riguarda solamente i più giovani, come spesso si crede) a simili strumenti di comunicazione istantanea e di informazione fai-da-te sta determinando la nascita di un fenomeno di grande interesse sociologico, ovvero la dimensione social, nella quale tutti possono simultaneamente connettersi con tutti e con tutto, accedendo liberamente anche agli aspetti più personali e intimi e creando una rete di utenti stretti in una rete (o gruppo) che ha un forte impatto di condizionamento sul pensiero e il modo di comportarsi. E’ all’interno di questo tipo di legame sociale che trova terreno fertile il diffondersi virale delle fake news, attorno alle quali vi sono in certi casi delle vere e proprie industrie della disinformazione guidate da colossi economici e politici internazionali: il legame del gruppo mediatico digitale si fa anche portatore di una visione della realtà che diviene l’elemento di demarcazione tra chi appartiene alla cerchia degli “amici” e chi invece ne viene escluso, con importanti conseguenze di carattere psicologico all’insegna della chiusura mentale e sociale.
Dobbiamo stare attenti – ha proseguito il relatore – anche all’aspetto della misinformazione, che è più subdolo rispetto alle fake news (spesso facilmente smascherabili per la loro palese infondatezza): esso consiste nella diffusione di notizie riguardanti fatti veri e realmente accaduti, ma descritti con un approccio tendenzioso (soprattutto a livello linguistico) che modifica o persino stravolge la corretta interpretazione dell’avvenimento in sé.
Entrambi i fenomeni (fake news e misinformazione) hanno comunque un’origine simile, che sta nella “disintermediazione” a cui oggi sono soggetti gli enti che diffondono informazione e conoscenza, con in primisil giornalismo: la dimensione social ha fatto sì che vi sia un rapporto diretto e istantaneo tra utente e mezzi di informazione in rete, senza più un ruolo di intermediazione necessario per spiegare e mettere a confronto i dati informativi, oltre che per fornire una chiave di lettura critica e consapevole degli stessi (compito che la scuola, ad esempio, deve invece avere). Questo comporta un approccio emotivo e spesso irrazionale alla narrazione della realtà, laddove invece, ha concluso il prof. Pira, la ricerca della conoscenza è per sua natura graduale, richiede impegno e profondità di pensiero e ancor più necessità di interlocuzione.
prof. Gabriele Ragogna
