5 marzo 1922
Un secolo fa nasceva il poeta, romanziere, giornalista, saggista, regista Pier Paolo Pasolini, profondamente legato alla nostra terra friulana grazie alla madre, Susanna Colussi, di Casarsa.
Il Pasolini che oggi desidero ricordare assieme a voi non è però il Pasolini poeta in lingua friulana, che pure mi affascina moltissimo, ma il Pasolini testimone di valori di vita e scuotitore delle coscienze anestetizzate dal materialismo consumistico o assopite nella mediocrità piatta che nasce quando non ci si interroga più su nulla e non si ha il coraggio della verità e dell’onestà, anche se scomode.
Voglio guidarvi alla riflessione attraverso qualche breve ma significativa affermazione di questo grande intellettuale del Novecento.
La serietà
“La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre: è uno dei canoni di condotta, anzi, il primo canone, della piccola borghesia! Come ci si può vantare della propria serietà? Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo! Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo!”
Pasolini, col suo modo di comunicare diretto e volutamente provocatorio, mette in discussione uno dei canoni di comportamento più celebrato, la serietà.
Con questo intende forse dire che non dobbiamo essere “persone serie”? Tutt’altro: bisogna essere, non solo dire di esserlo o volerlo sembrare, “persone serie”, ma nell’accezione più vera del termine, ovvero difendendo fino in fondo la propria dirittura morale, professando nei fatti l’amore per la verità e per l’onestà che non accetta di sporcarsi col compromesso, essendo coerenti.
Pasolini se la prende invece con quell’atteggiamento perbenista e puramente convenzionale che talvolta viene ritenuto “serietà”: il non volersi mai sbilanciare, il rinunciare ad avere un pensiero critico e magari anche controcorrente, l’ostentare una assoluta pacatezza esteriore che non nasce da un vero equilibrio dell’anima ma da opportunismo e dal volere farsi accettare a tutti i costi dagli altri.
In molti contesti sociali viene più accettato e apprezzato chi non fa mai rumore, chi sta sempre supinamente in silenzio rispetto a chi sa dire anche un “no” motivato. È questo il male da cui Pasolini vuole metterci in guardia.
Essere, non apparire
Ancora due massime sul valore della coerenza morale senza ipocrisie e finzioni.
“Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare”.
“Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù”.
In una società che sembra spesso premiare il mito del successo a ogni costo, celebrando l’uomo vincitore ed emarginando i deboli e coloro che sono considerati “perdenti”, Pasolini tesse invece l’elogio della sconfitta guadagnata con onestà senza piegarsi alla logica dei potenti e del compromesso etico.
Ritenersi vincitori anche quando si perde può apparire un paradosso, ovvero letteralmente ciò che va contro l’opinione comune e l’apparenza (dal greco “pará” e “doxa”). Pasolini amava, come Socrate, i paradossi, poiché essi scuotono le coscienze e ci spingono a interrogarci e a non accontentarci di risposte banali e rassicuranti per la loro stessa facilità.
Su questa medesima linea si pone l’affermazione per cui commettere peccato è soprattutto non fare il bene, ancor peggio che commettere il male.
Uscendo da una visione farisaica del concetto di “peccato”, spesso contornato da un’idea moralistica anziché morale, Pasolini ci invita a riflettere su cosa siano il vero male e il vero bene. È sufficiente non commettere il male per avere una coscienza in pace, per ritenersi buoni? Evidentemente no: la vera sfida è avere il coraggio di agire per il bene. L’etica è attiva (“io faccio”), non passiva (“scelgo di non fare”).
Saper perdere onestamente: elogio della sportività
L’insistenza con cui Pasolini ritiene che non sempre sia importante vincere a tutti i costi, se questo significa venire a patti coi propri valori di onestà e rispetto verso se stessi e il prossimo, forse gli deriva anche da una sua passione spesso poco conosciuta e tenuta quasi segreta (forse perché anch’essa andava contro l’immagine tradizionale di intellettuale lontano dalle passioni popolari e men meno interessato allo sport).
Questa grande passione pasoliniana fu il calcio.
Lascio questo ultimo pensiero, rivolto in particolare ai tanti nostri studenti che amano questo sport.
“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”.
Prof. Gabriele Ragogna