I martedì del Consiglio di Direzione e la comunità bertoniana
Il Covid corre e sale inesorabile la curva dei contagi: la scuola in presenza, adesso, si misura in percentuale. Si spopolano le aule che ci restituiscono, a singhiozzo, silenzio e banchi vuoti.
Avevamo sognato uno scenario diverso o, perlomeno, avevamo sperato che questo momento non arrivasse così presto, ma non vogliamo cedere allo sconforto.
La scuola deve andare avanti con coraggio e ottimismo anche, o soprattutto, se i ragazzi non dovessero più varcare la soglia dei nostri istituti perché per noi non c’è “didattica a distanza”, espressione che evoca un’idea di distanziamento e freddezza che non ci appartiene: per noi la didattica, anche quella non in presenza, è sempre “didattica di prossimità”, di vicinanza psicologica e sociale, di umanità vera e non virtuale.
Fare scuola senza scuola di Riccardo Giannitrapani
Lunedì sono tornato a scuola, ma la scuola non c’era più. Dopo tutte queste settimane, dopo le parole, i sogni, i racconti di questo diario, dopo più di un mese di mascherine, distanze, disposizioni, fatica, incontri e scontri, dopo tutta l’attesa di una presenza, sono entrato in classe e l’ho trovata vuota.
Inizia con questa istantanea la struggente riflessione del professor Riccardo di Giannitrapani, con l’immagine di un’aula vuota impressa anche nei nostri occhi che, immancabilmente, ci straccia il cuore: DAD è solo un acronimo, chi dice che siccome sono grandi possono stare a casa, non è mai entrato da adulto in quel meraviglioso e instabile uragano che è una classe scolastica.
Giannitrapani è un professore di matematica che riesce magicamente a declinare le sue emozioni (evocando anche la Szymborska) in formule e numeri. E, dunque, pensando al cerchio, egli vi sovrappone inizialmente l’esperienza della sua settimana passata (nel mio liceo siamo partiti tutti (1), poi al cinquanta percento (1/2), adesso al venticinque percento (1/4). Al prossimo passaggio dovrebbe essere un ottavo, poi un sedicesimo, le potenze negative di 2, un piccolo sentiero infinito verso lo zero): questa la sensazione prevalente, aver corso in cerchio per ritrovarsi al punto di partenza.
È il tema del ritorno, del tempo circolare, una costante che Giannitrapani sa essere anche di Borges, partendo da Platone fino a Nietzsche, ma che sperimentiamo anche noi, senza passare dalla poesia: sappiamo tutti che guardando un orologio osserviamo la struttura ciclica del tempo, ormai interiorizzata.
Naviga il matematico poeta tra formule e pensieri, immaginando come potrebbe essere la nostra vita se i sistemi gravitazionali fossero caotici ma poi, da buon scienziato, torna con i piedi per terra: torno alla classe, torno a lunedì, alla sensazione di un fortino abbandonato. Niente di così drammatico ovviamente, niente spari in lontananza, nessun assalto. Solo banchi vuoti e una lavagna su cui avevo cominciato a sgretolare la mia poca matematica. E ora, adesso, sembra di essere tornati indietro di un mese, sembra davvero un tempo circolare, un labirinto unidimensionale, nessuna porta per uscire o rientrare. Ma è davvero così? Siamo davvero intrappolati in un ciclo destinato a ripetersi?
Giannitrapani non ci sta: la scuola è ben altro rispetto ad un cerchio. La scuola è un cuore pulsante, è si spazio ma è anche tempo che dobbiamo mantenere pieno di parole, di gesti, di consuetudini, di vicinanza.
Il professore guarda nuovamente la triste istantanea e la sovrapposizione con il cerchio svanisce: Non vi è circolarità, non vi è ritorno, l’aula vuota che ho trovato lunedì non è la stessa di un mese fa, non è la stessa di marzo. Io non sono lo stesso. Voglio continuare a fare scuola, voglio continuare a insegnare matematica, nel minuscolo modo che so fare, con tutti i miei inciampi e miei difetti. Per farlo, ora l’ho capito, non mi serve affollare uno spazio con banchi e persone; mi serve invadere il tempo, costruire la mia trincea ad ogni istante. Con studenti e studentesse, per studenti e studentesse.
È fondamentale fare scuola anche senza la scuola. Accogliamo l’accorato invito del collega: trasformiamo il chrònos in kairòs.
Covid e scuola, una sfida anche per i filosofi di Umberto Curi (Avvenire, 22 ottobre 2020);
Da sempre l’educazione costituisce uno dei nodi più complessi, sul quale praticamente ogni governo negli ultimi vent’anni è intervenuto cercando di modificare – ottenendo talvolta il risultato di peggiorare drasticamente – l’assetto del modus educandi italiano.
Covid e lockdown (passato e spettro del futuro) tengono accesi i riflettori sulla questione: la scuola è cosa pubblica per eccellenza, una realtà che intreccia questioni concernenti l’intera società, che deve quindi essere oggetto di un’attenzione costante e collettiva.
Tralasciando le questioni scottanti delle nomine dei docenti, dei banchi a rotelle e del valzer dei Dpcm, un dato è certo: sono passati alcuni mesi e ora ci troviamo con una scuola che si frequenta (ad oggi) in parte in presenza, anche se con regole e strumenti didattici molto diversi da quelli a cui eravamo da sempre abituati e la filosofia è chiamata in prima linea a ripensare l’essenza del profondo cambiamento in atto.
Il volume Filosofia del digitale, a cura di Luca Taddio e Gabriele Giacomini, edito da Mimesis offre un primo importante approccio alla questione e alla posizione del problema in una chiave che non è disfattista né ingenuamente entusiastica: un vero peccato farselo scappare.
A martedì prossimo!
don Pasquale Cavallo
Fratel Adriano Baldo
prof. Gabriele Ragogna
prof.ssa Antonella De Bortoli
prof. Max Fassetta
prof.ssa Giovanna Zanella
prof.ssa Maria Simonini